Gianfranco Fini Presidente Camera Dei Deputati

Gianfranco Fini

Presidente, quanto è stato importante inaugurare con la Regina di Spagna una mostra di Raffaelo al Museo del Prado?

Come Presidente della Camera dei deputati italiana è stato un grande onore ed un privilegio poter condividere con la Regina quello spirito di amicizia leale ed antica che lega i nostri due Paesi; farlo all’insegna dell’arte ha rappresentato il viatico migliore per confermare, attraverso i valori della cultura, quanto importanti siano i rapporti tra popoli del Vecchio Continente. Sono rapporti che non si possono riassumere in mere formule finanziarie ed econometriche alla ricerca della stabilità: la comunità europea è tale perchè fatta, in primo luogo, di princìpi e di identità culturali condivise. Questo è stato il sogno che ha animato i padri dell’Europa e questo deve essere il faro che deve illuminare le scelte dei Governi nazionali.

 Durante la sua vista ha incontrato il Presidente Rajoy. Quali sono stati i temi affrontati?

 Ho trovato piena sintonia col Premier Rajoy nella consapevolezza della necessità che l’Unione Europea abbia bisogno di un salto di qualità. Si tratta di una scelta obbligata, l’Ue è a un bivio, che non concede scappatoie: o si dà vita a riforme condivise o si rischia di regredire. Le faccio un esempio di politica monetaria: se davvero si vuole che la Bce in Europa abbia dei poteri simili a quelli della Federal Reserve statunitense, bisogna ricordare che dietro la Fed c’è il Governo federale e allora occorrerebbe che anche dietro la Bce ci fosse un’Europa unita da politiche comuni.

 Avete parlato anche dell’Italia con il Presidente Rajoy?

 Certamente. Mi ha chiesto una mia opinione sull’evoluzione della crisi nel nostro Paese e ho sottolineato che in Italia, a partire dal Presidente del Consiglio, c’è la piena consapevolezza che il rischio contagio non riguarda ciò che può arrivare da un singolo Paese, ma è conseguente alle difficoltà di tutta la zona euro di mettere a punto nuove politiche fiscali e bancarie.

 Che importanza hanno le riforme europee condivise?

 Hanno un’importanza determinante. Guardi, in Italia le forze politiche si dividono su molte questioni, come è naturale che sia, ma – e ho avuto modo di ribadirlo anche al Premier Rajoy – sono tutte concordi sulla necessità che l’Europa acceleri il processo verso riforme che abbiano il consenso di tutti gli Stati membri.

La crisi sta cambiando il modo di fare politica? Quali sono, a suo parere, le priorità per l’Italia?

 La politica, per sua natura, è uno strumento duttile al servizio della comunità; il suo compito è dare risposte efficaci ai problemi nel breve, medio e lungo periodo. In questo senso, la crisi non cambia il modo di fare politica, ma esige che essa sia una “buona” politica, dove i tatticismi, gli egoismi strategici devono cedere il passo a scelte di responsabilità, in molti casi coraggiose e difficili.

Detto questo e per non sfuggire alla sua domanda, l’Italia ha bisogno di stabilità, che si ottiene solo attraverso riforme strutturali e lungimiranti. Come Presidente della Camera l’auspicio resta quello che le forze politiche siano in grado di realizzare quelle modifiche costituzionali ed istituzionali capaci di garantire elementi di governabilità.

 Crede importante anche una modifica del sistema elettorale?

 E’ evidente che il processo di riforma debba passare anche attraverso un ripensamento del sistema elettorale vigente e non è un mistero il fatto che, da tempi non sospetti, ritengo un sistema maggioritario con assetto semipresidenziale una buona soluzione per avere Governi capaci di decidere. La politica si confronterà su questi temi ed individuerà, spero con la maggioranza più ampia possibile, la soluzione che vada nel senso di una democrazia davvero decidente.

Ciò che intanto resta prioritario è ridare la scelta ai cittadini sui candidati che vogliono eleggere: l’attuale sistema prevede una lista bloccata e proposta dal partito da prendere o lasciare in blocco. Su questo punto essenziale, mi sembra ci sia una volontà politica comune di superare una evidente distorsione del meccanismo di scelta.

Presidente, gli italiani che vivono e lavorano all’estero sono e si sentono “più italiani” di quelli che vivono nella loro Patria, secondo lei perché?

Non credo si possa fare una graduatoria sul sentimento di appartenenza nazionale, perché in Italia c’è un rinnovato spirito di patriottismo repubblicano, merito anche dello straordinario impegno del nostro Presidente della Repubblica, cui dobbiamo essere tutti grati, perché è riuscito a farci sentire uniti ed orgogliosi della nostra identità.

Detto questo, sono consapevole che gli italiani che lavorano all’estero hanno un fortissimo attaccamento alla Patria, nel senso letterale del termine intesa come “terra dei padri”. E’ anche grazie ad essi che i valori civili della Nazione permangono come un fattore di educazione permanente e diffusa. E se mi consente, approfitto di questa occasione per ricordare l’importante figura di Mirko Tremaglia, recentemente scomparso, che si è battuto coraggiosamente affinchè gli italiani residenti all’estero potessero avere il diritto di voto e, tramite esso, una adeguata rappresentanza parlamentare.