Claudio Baglioni: “sono un ragazzo del secolo scorso che è rimasto ragazzo”

Intervista di Paola Pacifici

“La chitarra è stata il mio ponte levatoio verso il mondo e la mia musica è un tentativo di raddrizzare la schiena ai mille punti interrogativi di fronte ai quali la vita ci pone. Un concerto è per me una corrispondenza di amorosi sensi”, dichiara il cantante. “AVRAI è la canzone che ho scritto per mio figlio, dove il rapporto è quello di un dialogo di profondità, che non si è mai interrotto e mai si interromperà”.

Chi è Claudio Baglioni cantante?

Un ragazzo del secolo scorso che è rimasto ragazzo anche in questo. E un uomo che non ha mai smesso di amare, soffrire, stupirsi, indignarsi, lottare, costruire, sperare e sognare. Come definisci la tua musica? Il tentativo di raddrizzare la schiena ai mille punti interrogativi di fronte ai quali la vita ci pone, appoggiando l’orecchio al petto del tempo per coglierne il battito del cuore.

Perché decidi di cantare?

All’inizio per non essere invisibile. La chitarra è stata il mio ponte levatoio verso il mondo. Mi ha permesso di attraversare il fossato e raggiungere gli altri. E ha permesso agli altri di raggiungere me. Ora, canto per raccontare cosa tutti questi incontri mi hanno dato.

Quale periodo della tua vita artistica ti piace di più?

Sarei tentato di dire il prossimo. E non sarebbe una boutade, né un azzardo, visto che mi guida da sempre l’idea di rimettermi in gioco ogni volta fino in fondo, scommettendo, nel progetto che verrà, tutto quello che ho “vinto” con quello che si è appena concluso. La verità è che ogni stagione al suo sale e devo riconoscere che questi quaranta anni di musica sono stati così intensi e fortunati che davvero non saprei quali scegliere.

La musica e le canzoni italiane nel mondo hanno fatto scuola?

Alcune certamente sì. Penso, ad esempio, alla grande tradizione della canzone napoletana. Di una ricchezza sia musicale che testuale insuperabile e con “spiritualità”, profondità e passione difficilmente eguagliabili. Un dono straordinario per tutti.

I giovani e la musica, quale rapporto hanno oggi e quale era quello di quando hai cominciato?

Forse sbaglio, ma credo che per la mia generazione la musica abbia avuto un ruolo che oggi ha perso. Un ruolo centrale. Irrinunciabile. Noi vivevamo di musica. Avevamo luoghi, spazi e tempi votati esclusivamente alla musica. Oggi la musica è dappertutto. Sempre e ovunque. La sentiamo sempre e, dunque, non la ascoltiamo più. Credo sia questa la grande differenza. E penso sia un male. Per lei. E per noi. Il silenzio e la musica sono complementari come il giorno e la notte. L’uno ha bisogno dell’altra. Se fosse sempre buio, non potremmo apprezzare la luce. E viceversa. Se la musica è ovunque significa che non è da nessuna parte. Ritroviamo il silenzio e riscopriremo la musica.

Nel tuo mondo musicale cosa c’è?

All’inizio, la can- zone d’autore francese. Autori come Brassens e Brél in particolare, tra i principali ispiratori della cosiddetta “scuola genovese” dei cantautori (De Andrè, Tenco, Bindi, Paoli…), forse la capostipite della via italiana alla canzone d’autore. Poi il songwriting americano: Bob Dylan, Paul Simon, James Taylor… Quindi gli autori del grande pop: Lennon Mc-Cartney, Elton John, Billy Joel, ma la lista è davvero lunghissima e qui siamo solo al “big-bang”… A poco a poco, lo sguardo si è allargato a certa musica classica, al jazz degli standard, alla grande canzone napoletana, alla bossanova di autori straordinari come Jobim, Vinicius de Moraes o Joao Gilberto… Fino a quando cominci a scoprire che la musi- ca si divide in due grandi famiglie: la musica bella e quella brutta. E tu cerchi (anche se non sempre ci riesci) di frequentare il più possibile quella bella. Nella consapevolezza che chi semina bellezza, raccoglie bellezza e nella speranza di regalare frutti perlomeno degni dei semi che la grande musica lascia cadere dentro tutti noi.

Quanto della vita di tutti i giorni entra nella tua musica?

Molto, anche se lo fa sempre sotto mentite spoglie. Sono vasi comunicanti: difficile dire dove cominci una e finisca l’altra.

Cos’è per te un concerto?

Una “corrispondenza d’amorosi sensi”. Un incontro di anime. Il modo più alto, profondo e immediato di scambiarsi emozioni e pensieri, sogni e bisogni. E il modo più bello per conoscersi.

Quale delle tue canzoni è autobiografica? Diciamo che c’è qualcosa di me in ciascuna. Sono disseminato un po’ ovunque, insieme ad alcuni fotogrammi della mia vita e ad alcune persone che li hanno divisi con me. Ma sono canzoni, non si può prenderle alla lettera. Io ci sono sempre, ma in filigrana. Tutto parla di me, ma niente è autobiografico.

Le tue canzoni in spagnolo a che pubblico sono rivolte?

Allo stesso pubblico al quale sono rivolte quelle in italiano: chiunque abbia delle domande su di sé, sul cammino dell’esistere, sul rapporto con gli altri, con il tempo, con le cose e ami la- sciare che la lingua, universale e sublime, della musica lo accompagni alla ricerca delle risposte.

Le tue canzoni e tuo figlio, quale rapporto c’è?

A parte “Avrai”, che è stata scritta per lui in occasione della sua nascita, direi che il rapporto è quello di un dialogo di profondità, che non si è mai interrotto e mai si interromperà. Parole e note ci legano a filo doppio, annullando anche tutte quelle distanze che un mestiere come il mio, inevitabilmente, finisce col determinare.

Puoi anticiparci qualcosa sui concerti che farai a Madrid e Barcellona?

Ho cercato di scegliere e cucire insieme i pezzi più significativi e rappresentativi tra quelli che raccontano i mille incontri importanti di questi quarant’anni di vita e di musica. L’idea dalla quale sono partito è il fatto che – come scriveva Seneca – “la terra è un solo paese: siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino”. E io credo che siamo anche note di un’unica, straordinaria, sinfonia. Quella del condividere un viaggio la vita – che nessuno è, né sarà mai, attrezzato per affrontare da solo. Io cerco di raccontare questo viaggio, attraverso le cose, i momenti e le persone che lo hanno reso unico e irripetibile. Sono loro che rendono prezioso il nostro tempo e, con le canzoni, cerco di restituire loro almeno una piccola parte di ciò che han- no dato a me. Abbiamo un solo mondo e spetta a noi fare in modo che non diventi un mondo solo.

Vorrei farti qualche domanda come Claudio Baglioni uomo. Cosa leggi?

Narrativa, soprattutto. Ma non quel genere di libri che si leggono per sapere come vanno a finire. Preferisco quelli che ti aiutano a illuminare un po’ meglio le curve pericolose della carreggiata della vita. Non mi interessa tanto la trama. Cerco l’originalità delle intuizioni e la profondità delle riflessioni. E, soprattutto, mi interessa la scrittura. Arte altissima. Confesso che ho una profonda ammirazione – anche un pizzico di invidia – per chi può dare del tu alle parole.

Dove ti piace andare in vacanza?

Ovunque ci sia il mare. Che adoro. Dentro e fuori. Senza mare è viaggio, non vacanza.

Sai cucinare?

Me la cavo. Sufficienza piena, direi.

Il tuo piatto preferito?

I piatti semplici della tradizione mediterranea. Quella cucina povera che doveva dare il massimo con il minimo e non poteva permettersi il lusso di sbagliare. Geniale e straordinaria.

Perché ti arrabbi (se ti arrabbi)?

Mi fanno arrabbiare essenzialmente due cose: la disonestà, soprattutto quella intellettuale, e la stupidità. Considero la seconda il vero grande male del mondo. E la prima la forma più grave di furto. Imperdonabile.

Cinema o televisione o tutt’e due?

Tutte e due. Anche se passo più tempo davanti alla seconda che non dentro il primo. Purtroppo. Adoro il cinema. La sua estetica, il suo linguaggio, l’epica di un certo narrare, le emozioni che regala, i pensieri che suscita. In televisione, invece, seguo soprattutto programmi di informazione e approfondimento, anche se non rinuncio al richiamo spettacolare dei grandi eventi sportivi.

Vorresti fare, cosa?

Sono molto fortunato: faccio un mestiere che amo. E’ una cosa così rara su questo pianeta, che sarebbe un vero sacrilegio desiderare di cambiare. Io e la musica stiamo insieme da quarant’anni. Se dopo tutto quello che abbiamo passato siamo ancora qui, beh: vuol proprio dire che siamo fatti l’uno per l’altra. Non so quanti posso- no dire la stessa cosa di quello che fanno. Il miglior modo di ringraziare per i talenti ricevuti è quello di rispettarli.

Torniamo all’artista. Quale canzone tua canti più spesso, e quale canti sotto la doccia?

Nei concerti, sicuramente. “Questo piccolo grande amore”. Sotto la doccia non saprei. Se l’acqua riesce a portare via i pensieri e a portare delle note, fischietto quelle. Altrimenti resto in silenzio. E aspetto. Non vorrei che il mio fischiettare allontanasse quelle che stanno per arrivare…

La musica del futuro quale sarà?

Quella che sgorgherà incrociando la malattia dell’infinito dell’uomo, con un’esistenza  nella  quale ogni cosa a cominciare dall’esistenza stessa è destinata a finire. La musica nasce lì, alla foce nella quale il fiume uomo si perde nell’Oceano tempo.