Silvana laureata in” Cinema documentario”, questa scelta?
Ho iniziato il mio percorso universitario al DAMS convinta di voler fare teatro, ma al secondo anno – avendo lasciato la compagnia di cui facevo parte – la mia motivazione ha iniziato a vacillare. Nel mio corso di studi era compreso l’esame di “cinematografia documentaria” ed è lì che ho visto per la prima volta i corti documentari di Vittorio De Seta, restandone letteralmente estasiata. Tutto ciò che lui
ha filmato negli anni cinquanta, il cosiddetto “mondo perduto” dei contadini, dei pescatori, dei minatori del Sud Italia e delle isole, faceva parte del mio immaginario, mi parlava e mi attraeva in maniera fortissima anche in virtù del suo modo unico di realizzare documentari. Alla fine di quel corso ho iniziato a sognare di diventare una documentarista.
Nel suo interessante cv ci sono tante esperienze oltre che come documentarista anche come breakingnews, cioè?
Tra il 2009 e il 2012 ho lavorato come operatrice per alcune emittenti straniere, al seguito dei loro inviati che coprivano i fatti del giorno in Italia.
Ma i suoi settori lavorativi sono molti altri dove lei è presente. Quale le piace di più e le è più congeniale?
Ho scelto di iniziare come montatrice con l’intento di imparare concretamente ciò che all’università avevo studiato solo in via teorica. All’epoca ho pensato che il montaggio fosse la fase di lavorazione durante la quale “tutti i nodi arrivano al pettine” e quindi, quale miglior apprendistato se non imparare dagli eventuali errori? Il lavoro della montatrice è quello più confortevole e congeniale alla mia indole, ma allo stesso tempo è il momento in cui arrivano mille stimoli sia per ciò che concerne il linguaggio sia l’uso dei materiali di repertorio, l’approfondimento di alcuni temi o dei fenomeni culturali, sociali ecc Dunque alla fine il montaggio rappresenta la mia “comfort zone” ma anche lo stimolo ad uscire da essa.
E la “montatrice” cosa fa? E l’operatrice di “camera” per noi che non siamo del suo mondo?
La montatrice assembla tutti i pezzi del racconto visivo. É un po’ come ricomporre un puzzle, con l’unica differenza che se si trova un pezzetto che non coincide perfettamente con il suo compagno, la montatrice ha il potere di cambiarne alcuni contorni e perfino le posizioni, in modo che il racconto sia più efficace, coerente con le intenzioni del regista e affascinante. L’operatrice invece è la persona che
“raccoglie” le immagini. Ne prepara la composizione o – nel caso del documentario – si adatta alla situazione da filmare in modo da avere la composizione migliore e, in accordo con il regista e il direttore della fotografia, realizza le diverse inquadrature che compongono il film.
Perché i documentari, in che cosa sono diversi dai film, che cosa le piace di più girare un documentario, forse c’è più realtà che fantasia?
Al di là della distinzione tra realtà e fantasia, che fortunatamente negli ultimi anni sta mostrando quanto il loro confine sia del tutto labile e intersecabile, i documentari mi sono sempre sembrati dei formidabili strumenti di conoscenza. Una conoscenza non nozionistica e sempre viva, capace di sradicarti da convinzioni che fino al giorno prima apparivano ovvie, inattaccabili, ma che – grazie al
potere dialettico e partecipativo che il documentario attiva – mostrano i loro contorni meno scontati e più irregolari. Il documentario è un esercizio alla curiosità, una forza che ti spinge a interrogarti sui temi e le situazioni più disparate e lontane da te, come fosse una calamita. E poiché viviamo in un’epoca in cui tutti ci vorrebbero sempre più consumatori passivi e acritici, penso che il documentario possa essere considerato a tutti gli effetti un’eccezionale forma di resistenza dell’umanesimo.
Poi la Silvana regista con un importante lungometraggio documentario “Non sono mai tornata indietro”?
Il lavoro nel settore audiovisivo è precario per natura perchè alterna fasi di lavoro molto intenso a momenti di pausa. Ho sempre sfruttato queste pause per pensare e a volte scrivere progetti miei. Solo dopo 12 anni ho avuto il coraggio e la determinazione per realizzare il mio primo lungometraggio documentario. “Non sono mai tornata indietro” mescola il racconto personale di Iolanda, la protagonista, a quello collettivo delle altre bambine che – come lei – hanno vissuto la stessa esperienza dell’abbandono della propria famiglia e del lavoro minorile. Sono partita da una storia e da un contesto che conoscevo bene perché Iolanda è stata la mia tata fino ai miei 12 anni. Mi ha cresciuta come una seconda mamma, fino a quando ha deciso di cercare una vita migliore lontano da tutti noi che, in definitiva, eravamo i suoi affetti ma anche la sua prigione.
Grandi successi partecipando a 15 festival che hanno riconosciuto il suo lavoro e la sua professionalità?
I premi sono sempre graditi e sono un incentivo a continuare e a cercare di fare sempre meglio. È stata una grande emozione accompagnare la storia di Iolanda nei vari festival e verificare quanto questa esperienza fosse condivisa da centinaia di donne in tutta Italia. Penso che i premi siano arrivati in parte per questo e in parte come riconoscimento non solo al film in sé, ma anche alla forza di Iolanda.
Quanto c’è di autobiografia se c’è? Perchè “non è mai tornata indietro” e quindi è andata sempre avanti e continuerà, fino a quando e fino dove?
Si tratta di un racconto biografico e autobiografico nella misura in cui narra la fase della vita di Iolanda vissuta nella mia famiglia. Iolanda non è mai tornata in dietro perché – come dice lei – una volta presa una decisione, è difficile che ritorni sui suoi passi. È una affermazione che indica la sua caparbietà e la forte necessità di trovare la sua strada, facendo affidamento esclusivamente sulle proprie forze. Un grande esempio per non abbattersi di fronte alle difficoltà e per andare avanti finché non si raggiunge un minimo di serenità e di soddisfazione…non rassegnarsi al solo pane ma ambire anche alle rose!
Per che cosa, perché e per chi…”non si deve mai tornare indietro?
Iolanda ha scelto di non rassegnarsi a un destino apparentemente già scritto. Ha scelto di di lottare per far coincidere il suo status sociale con la sua idea di dignità. Forse non bisognerebbe mai tornare indietro per compiacere od obbedire a chi ti vorrebbe in un modo difforme da quello che senti essere il tuo.
Silvana, io dico sempre che bisognerebbe vivere due vite ..Una per imparare a vivere e la seconda per vivere con quello che si è imparato… Quindi andare avanti per una vita serena (il più possibile)….
Beh se avessimo più vite forse sarebbe utile, ma comunque la prima vita sarebbe un po’ sacrificata…Opterei per una soluzione alternativa in cui alla nascita venisse offerto a ognuno di noi un piccolo ciak magico che ci permetta di ripetere un’ora della nostra vita in un modo diverso, chissà se sceglieremmo sempre la strada della serenità …sarebbe bello immaginarlo su una scala molto più grande di quella
individuale.