Intervista di Paola Pacifici
Presidente Morbelli, da quanto tempo la “Famija Piemontèisa” è presente a Roma?
Da alcuni ritagli di giornale pare che nel 1871, quando Roma divenne ufficialmente Capitale del Regno d’Italia, un gruppo di funzionari statali costituì un’associazione piemontese. Erano orfani di Torino Capitale e molto delusi dal biennio di Firenze Capitale. Ma altre notizie non abbiamo trovato. La nostra è – si fa per dire – molto più recente: è sorta nel 1944 ad opera di Renzo Gandolfo, un dirigente industriale legato al ministro Marcello Soleri, liberale. Tant’è che per la riunione fondativa della Famija si chiese ospitalità al PLI nella sede appena aperta di via Frattina 89. Soleri fu il primo presidente, poi venne Einaudi che lasciò non appena divenne presidente della Repubblica. Fu poi la volta di Pella, quindi di Sarti e infine di Altissimo. Dopo una lunga parentesi in cui abbiamo assunto la denominazione di “Piemontesi a Roma” (e della quale fu presidente l’ex ministro e sindaco di Torino Valerio Zanone), abbiamo riassunto il nome originario di “Famija Piemontèisa”.
Le attività della tua Associazione?
Nulla di politico, nonostante la sfilza appena elencata di illustri personaggi legati alle istituzioni. L’attività è tutta volta a promuovere l’immagine del Piemonte nella Capitale e soprattutto a rinsaldare i vincoli tra i piemontesi trapiantati a Roma e la loro regione. Letteratura e cultura, musica e spettacoli e tanta buona cucina (debitamente innaffiata) sono i cardini dell’associazione.
I piemontesi “romani” sono un po’ “diversi” dai “piemontesi- piemontesi”?
Molto ma molto diversi. Intanto – a differenza della maggior parte dei settentrionali – non parlano male di Roma. Ci vivono benissimo e non hanno alcuna intenzione di tornare nella terra di origine, che ormai si è trasformata nel loro paese delle vacanze. A lungo andare hanno anche perso la cadenza dialettale senza scivolare in quella romanesca.
Quali le tradizioni più sentite dai tuoi corregionali?
Le tradizioni più consolidate (m il discorso vale per tutti gli italiani) sono quelle gastronomiche. I piemontesi si dividono in due tribù: quella dei mangiatori di aglio e quelli ai quale l’aglio fa schifo. I primi ci vanno giù pesante: bagna càuda e barbera a profusione. Oppure fonduta di formaggio nel quale galleggiano teste d’aglio. Gli altri – dallo stomaco più delicato – amano i ravioli al plin con burro e salvia o i tajerin (tagliolini) al Castelmagno. E poi… potrei continuare all’infinito…
Roma e Torino, due città diverse, quali sono le caratteristiche di ognuna?
Sono molto meno diverse da un tempo, quando Roma era quella della “dolce vita” e Torino era quella della Fiat. La Dolce Vita non si fa più e anche la Fiat (FCA, per essere più esatti) produce di più in Abruzzo, Lazio e Basilicata che sotto la Mole. Torino – grazie al successo delle Olimpiadi invernali d’una decina d’anni fa – si è trasformata in città turistica. Si è rifatta il trucco, ha rivoluzionato il suo sistema museale e gioca a fare la Vecchia Capitale senza la rogna di esserlo. E ci riesce. Nel 150esimo anniversario della proclamazione del Regno d’Italia mi trovavo a Palermo; un nipotino di mia moglie era in partenza per la gita scolastica pasquale. “Andiamo nella nostra antica Capitale”, mi disse. Mi venne spontaneo rispondere: Napoli”. “Ma che stai dicendo? – mi gelò – Andiamo a Torino”. Insomma: dal Brennero a Lampedusa, Torino è la nostra prima Capitale.
Torino è famosa in tutto il mondo per la “Sacra Sindone”. Quanto vi sentite orgogliosi di rappresentare il più importante simbolo religioso?
Ecco un altro collegamento tra Roma e Torino: l’Urbe, Caput Mundi, è il centro della cristianità. Ma la Sacra Sindone (che re Umberto II ha lasciato in eredità al Vaticano) sta a Torino. Se poi aggiungiamo il Santuario della Consolata, il Cottolengo, l’Opera di don Giovanni Bosco e la catena di Sacri Monti prealpini, scopriamo che nel laicissimo Piemonte sabaudo (“Libera Chiesa in libero Stato”, predicava Cavour) ci fu ed è tuttora un fiorire di iniziative religiose. E non solo cattoliche: ricordiamo lo storico insediamento dei Valdesi in Val Pellice e ricordiamo anche che la Mole Antonelliana fu costruita per essere la sinagoga della fiorentissima comunità ebraica.
Presidente, Enrico Morbelli, famoso giornalista del Giornale Radio RAI che ci ha accompagnato per tantissimi anni con i suoi programmi. A questo proposito quale messaggio vuoi mandare ai tuoi piemontesi, non solo romani ma anche nel mondo?
Di trovarsi più spesso tra di loro e di tornare più spesso nella terra degli avi. Sul viaggio in patria non ho suggerimenti da dare. Ma sul “trovarsi” sì: l’appuntamento è quello fissato da “Astigiani” – rivista su “storia e storie di Monferrato, Langa e Roero” – per il Bagna Càuda Day dei prossimi 27, 28 e 29 novembre. Per chi all’inglese preferisce il piemontese, basta cambiare “day” in “d’aj”, che vuol dire “d’aglio” e rende meglio l’idea di ciò che troverà nella scodellina dove intingere le verdure di stagione, calde e fredde. In quei tre giorni i piemontesi e i loro amici si ritrovano a cena in tutto il mondo. Nel 2019 furono imbandite tavole persino a Tonga, Mosca, Belo Horizonte, Costa Rica e in tre ristoranti peruviani. Noi “piemontesi-romanizzati” eravamo in 200 in un mega albergo sull’Aurelia Antica: è la vecchia strada che porta a Ventimiglia e oltre. Dopo Genova, per il Piemonte basta girare a destra.