Laila Tentoni Presidente “Casa Artusi” FORLIMPOPOLI - Una Fondazione per la sua cucina

Intervista di Paola Pacifici

Intervista di Paola Pacifici

Presidente chi era Pellegrino Artusi e quando nasce e perché la Fondazione e chi sono i suoi soci?

Artusi è un commerciante di buona cultura e belle letture che, nato a Forlimpopoli 200 anni fa, viene ricordato e celebrato come il padre della lingua e della cucina domestica italiana. Come lui stesso scrive non sa resistere al prurito di raspar con la penna e, prima del ricettario che lo consegnerà ad una fama che sembra imperitura, scrive due testi di critica letteraria, l’uno sul Foscolo e l’altro sul Giusti. Poi arriva  il libro che forse non avrebbe mai pensato di scrivere, per cui si deve giustificare di “non essere né un ghiottone né un gran pappatore”, quel libro che, come racconta Marietta, la fedele domestica, “lo cominciò quasi per ischerzo. Poi vide che gli veniva bene e vi si appassionò”: La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, meglio conosciuto in Italia e nel mondo con il nome dell’autore, l’Artusi. La città di Forlimpopoli, in nome del genius loci, ha elaborato con l’aiuto dei massimi esperti di cultura del cibo, il  progetto culturale-turistico-urbanistico-economico  Forlimpopoli città artusiana, che prevedeva, come primo atto di una programmata rinascita artusiana, la manifestazione  che si realizza ogni anno da 24 anni, per 9 giornate consecutive nel centro storico della città, con vie  e piazze che cambiano nome secondo i capitoli del ricettario: la festa artusiana. Contemporaneamente  si accarezzava l’idea  di poter  render merito ad Artusi ogni giorno dell’anno con un centro a lui dedicato.  Così è nata Casa Artusi, nel 2007, con lo scopo di valorizzare l’opera artusiana e la cultura gastronomica italiana. Ha aderito al progetto del Comune, sin dall’inizio, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì che ancora oggi , con  Casa Artusi  trasformata dal 2 aprile 2019 in fondazione, sostiene il progetto quale strumento di crescita  territoriale. Casa Artusi quotidianamente, anche in un anno difficile come questo, si occupa di promuovere il bello e il buono della nostra cultura gastronomica e di valorizzare la pratica domestica in Italia e nel mondo.

Le sue ricette non rappresentano soltanto la cucina italiana ma, come tutte le gastronomie del mondo, anche la cultura del proprio paese?

La cucina  rappresenta l’identità culturale di un paese forse più di qualsiasi altro elemento; tramite essa si può indagare su ogni aspetto economico, sociologico, linguistico, valoriale di una comunità, di un popolo. Non a caso i nostri migranti di fine ottocento, forse ancora prima  dei diversi dialetti che rappresentavano una barriera sia con i connazionali sia con il paese ospitante, trovavano nel loro cibo, da ricostruire e riproporre, un pezzo di Italia, fuori d’Italia. Artusi ne era ben consapevole e si ascrive il compito, per conto di una nazione intera, di contribuire alla costruzione culturale della giovane Italia  con una lingua unitaria, il toscano vivo e colloquiale e con una cucina intesa come sommatoria  delle varie tradizioni locali, sancendo la diversità come elemento irrinunciabile dell’identità. Un progetto preciso che riesce a realizzare forse oltre le sue stesse aspettative, in un tempo in cui, come era stato scritto, l’Italia era stata ( appena) fatta, ma non gli italiani.

Il “ mondo” di Artusi è certamente stato diverso da quello  di oggi. Ma ancora oggi quali sono i suoi consigli culinari che si seguono?

Artusi vive una lunga vita, dal 1820 al 1911, in un tempo che sembra davvero lontano anni luce dalle nostra vite 4.0, a cui il Covid ha dato una ulteriore inaspettata accelerazione. Ciò nonostante Il borghese Artusi, che faceva spesa al mercato e si faceva inviare i prodotti dalla Romagna, cuoceva con il forno a legna ed era interessato a tutte le novità in cucina, sia tecnologiche sia di prodotti, resta nel metodo e nel pensiero di estrema attualità. Egli corrisponde tramite posta e ferrovie con persone di ogni luogo e di ogni ceto e racconta  una cucina borghese e cittadina e anche una cucina popolare e  contadina. Quando nel  corso del 900 , grazie  alla scuola pubblica, l’istruzione si diffonde e anche i ceti popolari cominciano ad investire sulla formazione e comprano qualche libro (Cuore, Pinocchio) l’Artusi ha tutte le carte in regole. Si diffonde la cultura materiale e il sapere pratico: la Scienza  è avvantaggiata, piaceva ai signori non poteva non piacere ai domestici che lo usavano, piaceva alle nonne e continuerà a piacere alle figlie e alle nipoti. Artusi è un visionario che sa che  l’arte della cucina è inesauribile  e ancora oggi possiamo continuare a  riconoscerci in quel manuale  che  valorizza semplicità,  prodotti di qualità e  stagionali, cucina povera e che individua nella  passione l’ingrediente irrinunciabile che dà sapore non solo alle nostre ricette, ma alla vita stessa.

Da pochi giorni si è tenuta e celebrata la “Settimana della Cucina Italiana nel Mondo”?

La V settimana della cucina italiana nel mondo, l’iniziativa coordinata dalla Farnesina per promuovere le eccellenze italiane nel mondo, quest’anno, dal 23 al 29 novembre, era dedicata a Saperi e Sapori delle terre italiane, a 200 anni dalla nascita di Pellegrino Artusi” . Così Casa Artusi, nelle modalità che oggi sono necessarie, causa pandemia, ha fatto letteralmente in una settimana il giro del mondo, dalla Cina al Brasile, dall’Argentina al Nord America, dall’Africa all’Ucraina, etc con decine e decine di incontri in remoto, webinar, conferenze, masterclass a distanza,  per  promuovere nel mondo la cultura gastronomica italiana e la conoscenza del nostro territorio e i prodotti Dop e Igp italiani nel nome di Pellegrino Artusi. Il gastronomo forlimpopolese è stato presente ovunque  anche tramite le clip realizzate per conto della Farnesina e trasmesse in tutto il mondo attraverso la rete diplomatica ( oltre 350 sedi)  e il video “Casa Artusi a Forlimpopoli e il viaggio della cucina domestica” realizzato in collaborazione con la Camera di Commercio della Romagna e, sottotitolati in diverse lingue, inviato in oltre 40 paesi.

Che Paese ama di più la nostra cucina e che pietanza?

La cucina italiana credo, con cognizione di causa,  sia la più amata al mondo, perché, ancora prima che ricette buone e facilmente replicabili,  rappresenta  uno stile di vita, un sistema valoriale di scambio e condivisione, di benessere e buon vivere.   Naturalmente la cucina italiana è imprescindibile, dove vivono tante famiglie di origine italiana, di terza e quarta generazione. Penso al nord America, al Brasile, all’Argentina dove la pasta (o minestra, come la chiamiamo noi Romagnoli )  è irrinunciabile, quale tipico “primo” del paradigma gastronomico italiano che Artusi ha inserito, con tante ricette, nel suo manuale, in tempi i cui i medici continuavano a suggerire una dieta proteica. Lo stereotipo di italiani “mangia maccheroni” nasce più o meno al tempo dell’Artusi e lui stesso contribuì a consolidarlo. La pasta sarà alla base della dieta mediterranea, riconosciuta 10 anni fa dall’Unesco patrimonio culturale dell’umanità. Un piatto di spaghetti al pomodoro fresco con basilico e olio EVO ci rappresenta nel mondo forse più di qualsiasi altra preparazione.

I giovani cuochi e l’Artusi?

Artusi, come tutti sanno,  pur passando ore e ore in cucina con il cuoco forlimpopolese Francesco Ruffilli, non era uno chef, ma un appassionato di cucina, un gastronomo che scrive per le famiglie italiane.  I giovani cuochi studiano Artusi, ma forse non abbastanza: dovrebbero imparare di più da un testo ineguagliato nel raccontare, con ironia e un bell’italiano, la nostra cucina e soprattutto ricordare che il vero e unico maestro è la pratica. Artusi  prova e riprova una ricetta fino a quando non “merita” di entrare nel manuale. Scrive alla ricetta n. 367: “ Si dirà che sono armato dalla virtù dell’asino, la pazienza, quando si sappia che dopo quattro prove non riuscite, ho finalmente potuto alla quinta e alla sesta, cuocer bene un cappone in vescica.” Artusi ci consegna un metodo democratico, non prescrittivo, la libertà è sovrana in cucina, che non significa, libera cucina in libero stato. La creatività senza cultura, senza sapienza, senza pratica costante è solo improvvisazione senza gloria. C’è un limite imprescindibile che Artusi evoca spesso: il buon gusto, di cui gli italiani sono maestri nel mondo non solo in cucina.

Perché sono più i cuochi che le “cuoche”, quando invece nella nostra vita quotidiana  è al contrario. È difficile trovare nella nostra case un “ bravo cuoco”?

Ci sono ragioni storiche precise,  un retaggio culturale da cui solo recentemente ci stiamo affrancando: il mondo professionale era riservato   agli uomini, così come  lo erano i cuochi delle grandi famiglie borghesi, appannaggio  dell’universo femminile era prioritariamente  il lavoro domestico. Il Bel paese, ricco di bellezza e arte, è stato, sotto alcuni punti di vista,  un paese culturalmente arretrato. Pensiamo allo scapolone Artusi che,  anticlericale convinto e modernissimo nel pensiero,  ad esempio non credeva nel sacro vincolo indissolubile del matrimonio e già allora, ai tempi suoi, auspicava una legge che permettesse il divorzio, legge adottata già da lungo tempo dalle nazioni più civilizzate del mondo. Artusi non sa che abbiamo dovuto aspettare le grandi battaglie civili degli anni 70 del 900,  a meno che non si volesse accogliere il suggerimento che ci veniva dal cinema,   nel capolavoro  di Pietro Germi, Divorzio all’italiana. Resta ancora molto cammino da fare, ma oggi molte cose sono cambiate: donne capacissime, piene di talento e passione,  si mostrano prime  in tante discipline, compreso la ristorazione professionale.  Dall’osservatorio di Casa Artusi, possiamo rassicurare che in famiglia le cose stanno cambiando ancora più velocemente,  tanti mariti e figli maschi frequentano i nostri  corsi di cucina per espugnare scherzosamente il titolo di cuoco di casa e soprattutto condividere un momento così importante  che è la scelta, la preparazione e la condivisione del proprio cibo.

Ma la cucina  italiana  ed i suoi prodotti sono anche un importante dato economico. Quanto la loro vendita influisce in Italia e nel mondo?

La  cucina italiana e i grandi prodotti italiani, a partire dalle eccellenze dei prodotti a marchio (di cui la regione Emilia-Romagna, terra ricca e fortunata, vanta il numero più alto di referenze, sul podio più alto  per export)  rappresentano soprattutto negli ultimi anni un dato economico rilevante nell’export. Il 2019 ha segnato un record per il Made in Italy che ha raggiunto quasi 45 miliardi di euro per l’agroalimentare. E i  primi 6 mesi del 2020, in questa difficilissima situazione economica, in cui un virus che ci auguriamo l’epifania porti via!, ha castigato   le nostre vite e l’economia mondiale, sembrano confermare in qualche modo il grande apprezzamento di cibo e soprattutto di vino italiani in Europa ed extra Europa. Naturalmente l’orizzonte è penalizzato da una situazione ancora incerta; Il turismo, la cultura, la formazione e le imprese ad esse collegate vivono momenti di grande difficoltà, ma l’export dei nostri prodotti sembra resistere meglio di tanti altri settori. Chi vuole mangiare italiano continuerà a richiedere prodotti autentici che soli trasmettono il sapere e il saper fare  di una comunità,  fatta di esperienza, lavoro  e, oggi più che mai, sudore e lacrime.

Alla Presidente Laila Tentoni, quale piatto piace di più, sei una brava cuoca e una fedele allieva di Pellegrino Artusi?

Beh diciamo, per onestà, che io appartengo alla generazione che si è allontanata dalla cucina perché riteneva prioritario realizzarsi fuori casa e dedicare ogni energia allo studio e al lavoro. Una sospensione temporanea che poi è stata ripresa nel corso degli anni e forse con maggior convinzione dalla generazione successiva. Mia figlia cucina meglio di me. Io in sostanza ho cominciato a cucinare tardi, quando sono stata costretta perché nessuno lo faceva più per me, salvo appassionarmi e capire quanto fosse importante il fare domestico anche proprio per stare bene in famiglia e stare bene in assoluto. Credo che  Tonino Guerra avesse ragione quando sosteneva  che siamo destinati  tutta la vita a mangiarci l’infanzia; io infatti non potevo non ripartire, seguendo inconsapevolmente  i consigli artusiani, dalle ricette di casa mia, gridando vittoria quando potevo ritrovare quei sapori e quei profumi indelebili custoditi, assieme all’immagine operosa di mia madre, nella mia memoria visiva e olfattiva. Il piatto che noi bambini preferivamo era per antonomasia il piatto delle festa, che si faceva non troppo di frequente e che richiedeva una ritualità coinvolgente l’intera famiglia:  i cappelletti in brodo.  Li amo più di ogni altra cosa e naturalmente Natale non è Natale senza cappelletti.  Fra l’altro ho scoperto recentemente, nel prezioso carteggio che conserviamo in Casa Artusi, che  i cappelletti all’uso di Romagna sono la minestra preferita da Artusi. Almeno sembra così rileggendo la lettera  dell’amica benestante fiorentina Burresi Pettini Luisa che scrive:  “ Ho molto gradito i suoi buoni cappelletti e sono d’Accordo con Lei nel chiamarli la prima minestra del Mondo. La ringrazio dunque vivamente soprattutto del pensierino gentile”.

Cosa direbbe, oggi, il grande Artusi della cucina italiana del 2020?

Artusi, liberale e buon cittadino, come si autodefinisce, è uomo estremamente curioso e attento a tutto ciò che si muove attorno alla cucina. Io lo definisco il gastronomo che vive nel futuro perché il suo pensiero è attuale e, a 200 anni, dalla nascita ancora rappresenta un punto fermo della cucina italiana. Se fosse qui oggi continuerebbe a tenere legato a sé un mondo intero, facilitato dalla moderna  tecnologia, quando ai tempi suoi si doveva affidava a posta e ferrovie per dare voce alle cucine di tanti territori, scegliendo, dopo continue prove, solo il meglio. Oggi sarebbe entusiasta della qualità della nostra cucina, dell’eccellenza dei nostri prodotti, dell’amore che il suo stesso testo riceve in ogni angolo di mondo, ma  avrebbe continuato a provare e riprovare ogni ricetta per discernere, come dicono i romagnoli, il grano dal loglio, perché solo così si mantiene alto il nome della buona cucina Italia.

Per questo ci trovano oggi su www.casartusi.it