Perchè tante “culle vuote?” ROMA - Il Professore Vittorio Unfer: la crisi della natalità ha diversi problemi e tante patologie

Intervista di Paola Pacifici

Professore, la sua specializzazione è rivolta alla ginecologia, perché l’ha scelta?

All’inizio, la ginecologia non è stata una scelta consapevole, ma quasi una soluzione di ripiego. Tuttavia, col tempo ho realizzato che in realtà era questa specializzazione ad aver scelto me. Mentre molti colleghi optano per specializzazioni più orientate alla chirurgia, la ginecologia è prevalentemente incentrata sulla prevenzione. La possibilità di intervenire prima che si manifesti un problema è ciò che mi ha guidato nella mia pratica clinica per tutti questi anni. In questo senso, noi ginecologi siamo simili ai medici di base; molte donne si rivolgono esclusivamente al loro ginecologo. Durante i controlli annuali discutiamo di esercizio fisico, gestione del peso, vaccinazioni, screening per il cancro, sesso sicuro e contraccezione. Le pazienti in menopausa possono affrontare problemi come vampate di calore, secchezza vaginale o calo del desiderio sessuale. Un altro aspetto determinante è la soddisfazione derivante dalle relazioni professionali che instauriamo con le nostre pazienti. Prendersi cura di qualcuno che ha affrontato aborti spontanei, la nascita di un bambino morto, la scoperta di un tradimento del partner, o la diagnosi di una patologia che impedisce di avere figli, sono esperienze molto intense che ti riportano alla realtà. Mentalmente e talvolta fisicamente, può essere estenuante, ma alla fine sai di aver fatto la differenza, anche solo dimostrando di tenerci davvero. Questo è il modo di fare il medico di una volta, e offre molte soddisfazioni. Pratico da circa 30 anni e ora mi prendo cura delle donne che ho aiutato a nascere. Le pazienti mi cercano per fare una foto insieme ai loro bambini, soprattutto se il parto è stato complicato. La fiducia che le pazienti ripongono in noi ginecologi è enorme e i nostri consigli hanno un grande peso. Si creano legami che possono durare una vita intera.

Lei è famoso per i suoi studi sull’utilizzo del myo-inositolo per la Sindrome dell’Ovaio Policistico, cioè?

Mi sono accostato prima allo studio del myo-inositolo, una molecola simile allo zucchero, e col tempo ho compreso le potenzialità che avesse nell’ambito ginecologico, principalmente nel trattamento della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), patologia endocrino-metabolica che si caratterizza proprio per una carenza di questa molecola a livello ovarico. Nelle pazienti affette, quantomeno in 3 su 4, la patologia è innescata dall’insulino-resistenza che si traduce in un aumento nella produzione di ormoni maschili, come il testosterone. Abbiamo dimostrato grazie a moltissimi studi clinici che l’integrazione con myo-inositolo, grazie al suo ruolo di secondo messaggero dell’insulina e dell’ormone follicolo stimolante (FSH), riesce a ridurre i fenomeni di insulino-resistenza, sensibilizzando l’insulina e abbassando i livelli degli androgeni. Il risultato ottenuto è il ripristino dell’ovulazione e della regolarità mestruale, sintomi prevalenti nelle donne con diagnosi di policistosi ovarica. Oggi conosciamo bene quanto questa molecola sia efficace e sicura non solo nell’ambito della PCOS nella donna in età fertile ma anche nella prevenzione delle complicanze cardiometaboliche a lungo termine (come il diabete mellito di tipo 2 e la sindrome metabolica).

Che cos’è la Società Scientifica EGOI-PCOS e a chi si rivolge?

EGOI-PCOS è l’acronimo che identifica il Gruppo di Esperti sull’Inositolo nella Ricerca di Base e Clinica e sulla PCOS. Si tratta di una società scientifica istituita per esplorare e chiarire aspetti chiave delle funzioni fisiologiche e delle applicazioni cliniche degli inositoli in vari ambiti biologici e medici, con particolare attenzione alla ginecologia, alla riproduzione e ai disturbi metabolico-endocrinologici. In questo contesto, la Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS) è emersa come un focus principale per il gruppo. La missione del gruppo è di svelare la complessità che ruota intorno a tale patologia, cercando di far chiarezza sulle cause e sui possibili trattamenti. L’EGOI-PCOS è composto da ricercatori internazionali di spicco, ginecologi, endocrinologi e altri clinici che sono leader nei campi della fisiologia e della terapia con inositolo, nonché della PCOS, ognuno dei quali contribuisce con la propria competenza specializzata. L’EGOI-PCOS dedica i suoi sforzi a promuovere studi avanzati e dibattiti scientifici su questi temi, migliorando la cooperazione e il networking tra scienziati e clinici di diversi paesi. La collaborazione tra figure diverse ci fa comprendere come ormai non si possa più prescindere dall’approccio multidisciplinare nella gestione di patologie complesse, come appunto la PCOS. L’obiettivo chiaramente è arrivare alla classe medica, facendo scuola su queste tematiche, e fornendo tutti gli strumenti che consentano di fare diagnosi appropriate e terapie personalizzate.  

Nel suo importante cv parla di 16 brevetti, quali?

Abbiamo sviluppato brevetti che coprono vari aspetti della ginecologia, dai fibromi al Papilloma virus, e la salute riproduttiva delle donne, sia con che senza sindrome dell’ovaio policistico. Inoltre, ci occupiamo anche del supporto alla fertilità maschile. I nostri brevetti includono interventi per il benessere metabolico e della tiroide. Trovo gratificante che le idee e le ricerche a cui mi dedico insieme ai miei collaboratori siano protette e tutelate. La via del brevetto è una strada che percorriamo da tempo e che continueremo a seguire con determinazione.

Il grande problema di oggi sono “le culle vuote”, perché?

Sempre meno coppie oggi scelgono di avere figli. La diminuzione della natalità è principalmente dovuta alla riduzione delle fasce di popolazione in età fertile, mentre l’aumento dell’aspettativa di vita fa crescere il numero delle persone anziane. Le difficoltà economiche colpiscono sia uomini che donne, ma queste ultime affrontano ulteriori ostacoli legati alla maternità, come il rischio di non vedersi rinnovare un contratto a termine o di essere considerate una “scommessa” dai potenziali datori di lavoro. Inoltre, conciliare lavoro e maternità è complicato da un’organizzazione del lavoro spesso poco favorevole e dalla carenza e alto costo dei servizi per l’infanzia. Anche l’infertilità maschile, spesso trascurata, contribuisce al calo delle nascite. Dopo il Covid, molti reparti di urologia hanno ridotto drasticamente gli interventi non oncologici come varicocele, idrocele e ricanalizzazione dei deferenti, spingendo chi desidera risolvere questi problemi verso strutture private. Dulcis in fundo il problema delle culle vuote è frutto anche di un certo livello di egoismo che serpeggia nelle coppie di oggi. Per citare Papa Francesco siamo nella fase delle “Culle vuote e delle cucce piene”.

Come è cambiato a livello psicologico il termine “mamma”?

Il termine “mamma” ha subito significativi cambiamenti psicologici nel corso del tempo, riflettendo le evoluzioni sociali, culturali ed economiche. Tradizionalmente associato a ruoli di accudimento e nutrimento, oggi il concetto di “mamma” è molto più complesso e sfaccettato. Se in passato la figura materna era spesso idealizzata come dedita esclusivamente alla famiglia e alla casa, negli ultimi decenni il cambiamento dei ruoli di genere e l’aumento della partecipazione delle donne nel mondo del lavoro hanno trasformato la percezione della maternità. Oggi, essere mamma può significare bilanciare una carriera professionale con le responsabilità familiari, generando una serie di sfide psicologiche, come la pressione per eccellere in entrambe le aree e il senso di colpa legato alla percezione di non riuscire a dedicare abbastanza tempo a una delle due. Inoltre, la maternità non è più vista solo come un destino inevitabile per tutte le donne. C’è una crescente accettazione e rispetto per le scelte individuali, che includono la decisione di non avere figli. Questo cambiamento ha contribuito a una maggiore diversità nelle esperienze e nelle identità delle donne, permettendo una visione più inclusiva e meno stereotipata del termine “mamma”. L’incremento delle famiglie non tradizionali, come quelle monoparentali, omogenitoriali e ricostituite, ha ulteriormente ampliato la definizione di “mamma”, riconoscendo che la maternità può essere vissuta in molti modi diversi. Questo riconoscimento ha portato a un maggiore supporto e comprensione delle diverse dinamiche familiari e delle sfide psicologiche uniche che possono emergere. Infine, l’influenza dei media e dei social network ha contribuito a modellare e a diversificare le rappresentazioni della maternità, promuovendo immagini sia idealizzate che realistiche delle mamme. Questa esposizione può essere fonte di ispirazione, ma anche di pressione per conformarsi a determinati modelli. In sintesi, il termine “mamma” oggi abbraccia una gamma molto più ampia di esperienze e significati, riflettendo le evoluzioni sociali e culturali che hanno ridefinito cosa significa essere madre.

Ma c’è anche un problema a livello medico?

Certamente, il fenomeno delle “culle vuote” può essere in parte attribuito a problemi medici. Diversi fattori di salute influenzano la capacità delle coppie di concepire e portare a termine una gravidanza. Tra questi, l’infertilità è una delle principali cause. L’infertilità può colpire sia uomini che donne e può derivare da una varietà di condizioni mediche. Per le donne, problematiche come la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), endometriosi, fibromi uterini e disturbi della tiroide possono ridurre la fertilità. Queste condizioni possono influenzare l’ovulazione, la qualità degli ovociti e la capacità dell’utero di sostenere una gravidanza. Per gli uomini, fattori come una bassa conta spermatica, la scarsa motilità degli spermatozoi, varicocele, e altre condizioni uro-andrologiche possono compromettere la fertilità. Oltre alle condizioni specifiche, altri aspetti medici generali, come l’obesità, il diabete e le malattie autoimmuni, possono influenzare la capacità di concepire. Anche lo stile di vita e i fattori ambientali, come l’esposizione a sostanze chimiche nocive, il fumo, l’alcol e lo stress, giocano un ruolo importante. Non meno rilevante è l’età alla quale si tenta di avere figli. Con l’aumento dell’età media alla prima gravidanza, aumentano anche i rischi di complicazioni mediche e di ridotta fertilità. Per affrontare il problema delle “culle vuote” è necessario un approccio multidisciplinare che includa la prevenzione e il trattamento delle condizioni mediche che influenzano la fertilità, oltre a politiche di supporto sociale ed economico che incentivino la formazione di famiglie.

E i padri entrano nelle “culle vuote”?

Sebbene il fenomeno delle culle vuote sia più legato alla figura femminile, il crollo della denatalità è certamente imputabile anche ad un maschio oggi sempre più in crisi. La società di oggi ci mostra come da un lato “non esistano più gli uomini di una volta”, e come diventi sempre più evidente il divario fra donne istruite e con stipendi alti a fronte di uomini in difficoltà che faticano a indipendentizzarsi. D’altro canto, sorridiamo di fronte al termine “mammo”, anziché semplicemente padre, sminuendo ulteriormente la figura maschile. La carenza di padri, di giovani che imparano a esserlo perché nella vita incontrano testimoni autorevoli di questo ruolo, o che desiderano essere genitori, compagni affidabili, mariti fedeli, è un aspetto poco esplorato nella crisi delle nascite e quanto alla “scelta” di non essere madri. Allo stesso modo la dialettica tra emancipazione e libertà può essere vista come la conseguenza di un’altra crisi, quella dell’idea di coppia stabile, di famiglia: una “situazione”, questa sì, decisamente poco di moda oggigiorno.

Fare figli, cosa significa per una donna?

Fare figli per una donna può avere significati profondamente diversi, influenzati da una molteplicità di fattori personali, culturali, sociali ed economici. Per molte donne, avere un figlio rappresenta un’esperienza emotiva e biologica unica. Il legame creato durante la gravidanza e la maternità può essere fonte di gioia, appagamento e senso di realizzazione personale. La maternità può influenzare profondamente l’identità di una donna, arricchendola di nuovi ruoli e responsabilità. Per alcune, diventare madre è una parte centrale della propria identità, mentre per altre può essere solo uno degli aspetti della loro vita. Fare figli comporta anche sfide significative. Le donne devono spesso affrontare il bilanciamento tra carriera e famiglia, sacrificando talvolta ambizioni professionali e personali. Le difficoltà economiche, la mancanza di supporto adeguato e le politiche lavorative poco favorevoli possono aggiungere ulteriori pressioni. In molte culture, la maternità è vista come un ruolo primario della donna, con aspettative sociali che possono influenzare le scelte personali. Questo può portare a pressioni esterne e a un senso di dovere verso la famiglia e la società. Oggi, sempre più donne rivendicano il diritto di scegliere se e quando avere figli. Questa autonomia decisionale è fondamentale per la loro emancipazione e per il rispetto delle loro aspirazioni individuali, al di là delle convenzioni sociali. La decisione di fare figli ha anche implicazioni sulla salute fisica e mentale della donna. È importante, tra l’altro, considerare gli aspetti medici legati alla gravidanza, al parto e al periodo post-partum, nonché l’impatto a lungo termine sulla salute. In sintesi, fare figli per una donna può significare un mix complesso di gioie, responsabilità, sfide e scelte personali. Ogni donna vive questa esperienza in modo unico, influenzata dalle sue circostanze individuali e dal contesto sociale in cui vive.

Lei Professore “quante culle ha riempito”?

In 30 anni di carriera, ho aiutato a far nascere circa 600 bambini. Tuttavia, per me non si è mai trattato e mai si tratterà solo di numeri. Ogni nascita rappresenta un momento unico e speciale, come l’arrivo di un Michele, una Benedetta, un Vittorio. Questi bambini non sono solo cifre, non sono solo “culle vuote da riempire”, ma individui che fanno la differenza per le loro famiglie che li hanno desiderati e accolti con amore.

Qual è il suo messaggio alle donne e per le donne?

Il mio messaggio alle donne è di riconoscere e celebrare la propria forza, la propria resilienza e la propria unicità. Le donne sono capaci di incredibili traguardi in ogni campo della vita: nella carriera, nella famiglia, nella comunità e oltre. È importante che le donne si sostengano reciprocamente, lottino per i propri diritti e per l’uguaglianza, e si rifiutino di accettare limitazioni imposte da stereotipi di genere o da norme sociali obsolete. Inoltre, invito le donne a perseguire i propri sogni con determinazione, a credere nel proprio valore e a non temere di rompere le convenzioni. Ogni donna ha il diritto di scegliere il proprio percorso nella vita, che includa la maternità o meno, e di essere rispettata e sostenuta in ogni decisione che prende. Infine, il mio messaggio alle donne è di riconoscere il proprio potere nel plasmare il futuro, non solo per sé stesse ma per le generazioni future.