Tratta da “www.ilgiornaleitaliano.net” numero 34/2009
A tre anni il mio sogno era diventare coreografa, così è stato. Amavo, amo la creatività e stare dietro le quinte. Nel 1969, con “Io, Agata e tu” ho lanciato uno stile diverso di ballo, non più lacche e parrucche, ma capelli liberi e danza non tradizionale. Le donne italiane copiarono la mia frangetta ed il mio caschetto biondo. Il “Tuca-Tuca” fu una rivoluzione che dura ancora. Amo scrivere le storie che presento in tv. Gli spagnoli mi hanno “trafugato” “Carramba”.
I luoghi importanti della sua vita?
Sono nata a Bologna , amo quella terra e una parte della mia famiglia è ancora lì. Ma la mia vita, sia di studentessa e dopo di lavoratrice, si è svolta fra Bologna e Roma. Poi Bellaria e Igea Marina dove è nata mia madre e c’era mia nonna. Io la frequentavo d’estate perché mia nonna possedeva un bellissimo bar concerto dove sono nati Morandi ed altri artisti. In realtà ho sempre vissuto prima a Bologna e poi a Roma durante gli otto mesi invernali, così lì ci andavo solo d’estate.
Come e quando nasce l’artista?
All’età di tre anni e mezzo frequentavo a Bologna il Teatro di danza classica e andavo a scuola. Il mio sogno, che non so da dove sia partito perché nessuno dei miei fa parte del mondo dello spettacolo, era di diventare coreografa. Quindi ho amato, in una età in cui normalmente non si ragiona, ma c’è l’intuito e l’ingenuità, la creatività. Mi piaceva stare dietro le quinte e creare. La coreografa è colei che crea dei balletti per gli altri. Per fare questo dovevo diventare danzatrice io stessa per poi dirigere i ballerini. Ad un certo punto ho detto a mia madre che non mi bastava più il Teatro Comunale di Bologna e sono venuta a Roma in collegio cominciando a frequentare l’Accademia di Danza di Jia Ruskaja. Verso i 15 anni andavo al ginnasio e dovevo dare gli esami per il classico,ma di colpo, per una serie di circostanze assolutamente impensate, decisi di frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia. Ma non avrei mai pensato di fare l’attrice. Sai quando la vita decide per te e ti porta verso una direzione? Ho fatto un provino, non avevo nemmeno l’età per poter entrare in questo centro, invece ci entrai addirittura con una borsa di studio. Poi è arrivato il primo film e di seguito il teatro. Ero contenta, ma non soddisfatta, perché un’attrice, sì, usa la creatività, ma poco, in realtà ce l’ha più il regista. Quando, passando gli anni, è entrata la televisione, allora ho trovato il mio mezzo vero, che è quello di comunicare attraverso la tua persona, dando anche delle idee tue. E così piano piano sono diventata, sicuramente una conduttrice, una show-woman, ma con la soddisfazione di sviluppare la parte autorale, cioè l’autore dei programmi che facevo, dando sfogo così alle mie idee. Sono più portata a pensare ad un programma e poi farlo fare ad un altro.
Creando anche uno stile personale?
La prima volta che sono apparsa in televisione con il programma “Io, Agata e tu” nel 1969, mi sono sfogata a danzare senza voler nessun coreografo, ma lanciando uno stile completamente diverso da quello che si usava in quei momenti. Era professionale, perfetto, ma la rottura degli schemi che portai era la libertà della danza, dei capelli liberi, senza parrucche e lacche, con un corpo che si muoveva più in un modo simile ai danzatori negri. Ero proprio l’opposto di quello che andava in televisione fino a quel momento. Questo, piacque molto, e dopo pochi mesi ho fatto Canzonissima ‘70 con Corrado e da lì è cominciata una storia molto felice che è durata per molti anni. Avevo un coreografo per i miei pezzi e poi sottostavo ad una grandissima coreografa, per me molto antica, che rappresentava la parte tradizionale del programma. Poi con il Tuca Tuca è stata una vera rivoluzione che dura tutt’ora ed è fortissimo. Adesso mi sto orientando, pur danzando ogni tanto, verso il talk-show , nel presentare e nell’essere colei che scrive le storie che presento in televisione.
Che effetto ha avuto questo tipo di televisione sugli italiani?
Sicuramente molte italiane hanno imitato la mia pettinatura, con la frangia e il caschetto anche quando era laterale per il movimento della testa. Le donne per anni, quando davo concerti, mi toccavano i capelli per vedere se erano i miei o se era una parrucca. Era una cosa fortissima. Le giovani show-girl o le ragazze frequentavano le scuole di danza moderna che si aprivano; c’è stata una rivoluzione, ma come c’è stata per me c’è stata anche quando è arrivata Heather Parisi, con la Cuccharini, siamo state delle “fendionde” sullo stile della danza. Bisogna sentirsi liberi, anarchici nella scelta, saper dire di no a tante cose, però quando hai scelto quello che ti piace devi dare tutta te stessa, i tuoi tempi, le tue ore, i tuoi giorni, tutto.
Quale è la Carrà che piace di più alla Carrà?
La cosa che mi dà più soddisfazione in assoluto è quando penso ad un programma, come per “Carramba”, che però mi è stato trafugato in Spagna senza pietà. Lo volevo fare io dopo aver terminato i sei anni in Italia, invece me lo hanno copiato subito. Una soddisfazione è quando assieme ad un piccolo gruppo con Iapino, confrontiamo la mia idea con il pubblico per vedere se gli arriva e se avevo ragione, è una sensazione molto forte, emozionante e positiva. Questa è la soddisfazione maggiore più delle bellezza le gambe ecc.., quello è solo una fatica per me. Credo molto nell’interiorità, nell’invenzione, nella creatività , come quando avevo tre anni.
Raffaella Pelloni, perché Carrà?
Me lo mise uno sceneggiatore molto famoso, il io cognome vero come hai detto è Pelloni, al telefono era sempre “Belloni, Melloni”, insomma un inferno. Lo sceneggiatore mi disse, Raffaella è il nome del grande pittore antico, ci mettiamo vicino il nome di un pittore moderno che è Carrà. Ma ho sofferto molto perché quell’accento mi dava una noia mortale, però suona molto bene e così è nata la Raffaella Carrà. Una cosa che mi piace e mi emoziona tantissimo, e che adoro, è che in Spagna, che è il Paese dove è partita una carriera laterale straordinaria, io sono semplicemente “Rafaela”. Questa cosa così tenera, aumenta il mio legame che non riesco nemmeno a spiegarlo quando sento parlare uno spagnolo. Uno mi ha chiamato poche ore fa che vuole editare un volume di mie canzoni dicendomi “adios, nos hablamos”, insomma mi piace moltissimo. Trasmettono tenerezza e anche forza, lo spagnolo è una lingua forte, amo la loro ironia, io li frequento moltissimo quando posso, se sono nervosa prendo un aereo e vado a Madrid.
Parlando di Spagna, come avviene il passaggio in questo paese?
La prima volta che sono venuta a Madrid mi avevano invitata con altre star televisive italiane come ospite in un programma. Dopo tre canzoni, che avevo cantato, ci fu una persona importantissima del CBF che cominciò ad editare i miei dischi con un grande successo. Sette mesi dopo sono stata invitata in televisione varie volte fino a che nel 1976, il 6 gennaio, ebbi dalla televisione spagnola un’ora di trasmissione “La hora de Raffaella Carrà”, erano quattro puntate che andavano in onda dopo le partite di calcio con un successo straordinario. Da lì ho cominciato a dare dei concerti. Poi sono scomparsa perché cominciando il “Pronto Raffaella”, in Italia ero molto impegnata, era un programma quotidiano di notevole successo. Dopo 10 anni, attraverso Eurovsione, dove c’erano Francesco Boserman e Arturo Vega, mi hanno proposto dieci puntate di “Hola Raffaella”. Siamo nel 2000, conoscevo un po’ lo spagnolo ma non tanto, però ebbi così tanto successo che dovetti assumere un professore. Furono quattro anni e mezzo. Hai capito? Ogni volta che finivo un ciclo di puntate mi dicevano “tienes que quedarte aqui, tenemos que continuar”. Io rispondevo “guardate che la gente alla fine gli esce dalle orecchie la Carrà”. Sono tornata in Italia con “Carramba, che sorpresa!”, che per sei anni è stato leader, con audience di 13 milioni di persone. Purtroppo gli spagnoli me lo hanno copiato, noi andavamo in onda e dopo tre settimane facevano le stesse sorprese, come facessero non so, noi lavoravamo come dei matti per fare delle cose strepitose. Ancora oggi Carramba è ispiratore sia in Italia sia in Spagna di altri programmi.
Momenti belli della tua carriera?
Sicuramente il giorno dopo della prima puntata di “Io, Agata e tu”, quando mi sono resa conto che avevo un sacco di giornali e telegiornali che parlavano di me. Mi sono detta “qui è successo qualcosa”, quello è stato illuminante. Di momenti molto forti e molto belli ne ho avuti tanti che è impossibile fare una lista, tutte le tournées che ho fatto in America latina, l’affetto degli argentini, del Messico, in Venezuela, in Uruguay, ho girato il mondo con delle soddisfazioni immense, anche discograficamente dal Canada al Giappone. Ogni tanto ho delle sorprese che non mi aspetto.
C’è qualcosa che avresti voluto fare e che ancora non hai fatto?
Guarda, credo di aver fatto tantissime cose. Adesso mi hanno proposto un programma curioso in Italia, un po’ diverso, che non so se accetterò, ci sto pensando. Praticamente diventa un talk-show di approfondimento, quindi non so come è accolto, perché ogni volta che vedono me in televisione mi legano alla musica e alla danza. È una scommessa, una sfida e non so che reazione possa provocare. Mi piace molto andare in profondità delle cose sempre di più, quindi un rischio che forse prenderò. O forse no. Una bella soddisfazione è stata quando in un programma di Santoro ho parlato della televisione dei ragazzi, che è carina, su RAITRE. Avevo visto un programma spagnolo che mi piaceva molto “Il Concertazo”. Mi sono rivista bambina quando ascoltavo musica classica, perché studiavo danza, ed a casa giocavo con le bambole mettendo i dischi di Ciaykovsky o Mussorsky e con i bottoni creavo coreografie per 50 o 60 ballerini. Stavo sul tappeto di mia madre nel grande salone, inventando incredibili coreografie. Fermando Argenta mi ha detto: “Guarda Raffaella 13 puntate non basteranno, perché si parli di questo programma, dovresti farlo per tutto il periodo scolastico”. Invece, guarda che l’Italia è strepitosa nei riguardi della musica, ha avuto un grandissimo successo “Il Gran Concerto”, va in onda alla domenica mattina e adesso c’è la seconda serie che faccio presentare ad un ragazzo che stimo molto ed io sono l’autore, non guadagno una lira, ma non me ne può fregare di meno.
Che tipo di televisione ti piace?
Mi piace una televisione garbata, ma non leziosa, positiva, alle volte anche trasgressiva, ma non tutta uguale come è adesso. Ora è il momento dei reality show, tutti fanno i reality. Mi piacerebbe una varietà di proposte in seno all’intrattenimento, si dovrebbero dare dei colori diversi. A proposito di televisione, anni fa Nieves Herrero, che tu conosci ed hai intervistato, mi ha invitato al suo programma e ad un certo punto mi ha detto “So che tu suoni la chitarra e voglio farti un omaggio”, la guardai stupita, io non so suonare le dissi, ma all’improvviso entrò un signore con un astuccio di chitarra, continuavo a dirle che non sapevo suonare, ma lei mi invitò ad aprirlo: c’era uno stupendo “jamon de jabugo cinco estrellas”! (Ride, con la sua simpatica, allegrissima e famosa risata).