Lorenzo Quinn: “La parte più bella della scultura è l’idea” Lorenzo Quinn, le sue sculture nel mondo LORENZO QUINN, LE SUE SCULTURE NEL MONDO PARLANO DI LUI

Intervista di Paola Pacifici

Intervista di Paola Pacifici

Perché prima ero una persona tridimensionale a desso sono diventato quadrimensionale, nel senso che avevo iniziato anni fa con la pittura. Però mi mancava questa cosa del tatto. Per me il tatto è molto importante. Ero e sono un seguace delle opere di Dalì, mi chiamavano “il giovane Dalì”. Sono arrivato ad- dirittura ad interpretarlo in un film, lì ho capito che ovviamente di Dalì ce ne era solo uno e che ero solo una brutta copia, come artista dovevo creare uno stile proprio. Ho iniziato con le sculture e non ho più smesso. Quali materiali preferisci? Preferisco il bronzo, però attualmente sto lavorando anche con dei nuovi materiali come alluminio, acciaio. Le mie sculture sono abbastanza classiche, sono un artista figurativo. Mi piace spiegare qualcosa attraverso le sculture, non devono essere solo decorative. Sono simboliche, ognuna ha la sua storia. Il bronzo ha un suo calore, con la sua patina rappresenta il tempo che passa, mi attira molto perché praticamente sono rimaste invariate le modalità di uso da ormai migliaia di anni. L’alluminio e l’acciaio invece rendono moderna una scultura che potrebbe essere vista come una opera classica. Pertanto posso sviluppare e seguire vari interessi utilizzando questi due materia- li, ci sono sculture che vi si adattano ed altre che preferiscono il bronzo. Ultimamente sto combinando mate- riali diversi, ne ho una che mi piace moltissimo e credo che sarà una del- le mie opere più importanti. Un arti- sta, se ha dieci opere maestre è fortunato, è conosciuto sempre per quel particolare, o quei particolari quadri o sculture, che lo hanno reso celebre. L’ultima opera che sto facendo “What came first” cioè “Cosa venne prima”, è una scultura che combina il marmo, il bronzo e l’acciaio.

Quale di questi materiali senti veramente tuo?

Non è né il bronzo, né l’alluminio, né l’acciaio, quello che veramente sento è l’argilla, la- voro l’argilla e poi le sculture vengono riprodotte nei vari materiali. Dove veramente metto le mani, ciò che veramente tocco e plasmo è l’argilla. Sei veramente il creatore, una sensazione bellissima, ti immagini in quel momento di creare Adamo ed Eva, vedi e senti la creatura nascere sotto le dita. L’argilla ha vari fasi di lavorazione, da quella iniziale che è morbida tipo fango, a quando si indurisce e la puoi cuoce- re. Ogni fase ha un suo fascino.

Per te è più emozionante vedere l’opera in argilla o nel materiale finale?

Dipende. La scultura che sto facendo, “Cosa venne prima”, non la posso vedere finita in argilla in quanto il marmo viene da Carrara. È un uovo con una base in acciaio che viene realizzata da uno specialista su mie istruzioni. Faccio l’originale della scultura, che poi andrà dentro questo uovo con una figura di bronzo. Anche se sono un artista figurativo, non faccio proprio sculture classiche, come può essere una donna seduta o un uomo in piedi. Le mie opere hanno una parte moderna con elementi che in argilla non posso realizzare. Ho fatto una scultura molto grande che ricorda il “Pensatore “ di Rodin, che è uno degli artisti che adoro, mi ispiro a lui, a Michelangelo, a Lorenzo Buonarroti e a Carpo, sono per me i quattro grandi maestri. Questa “Mano di Dio” di 5 metri contiene un uomo a dimensione naturale seduto nel suo palmo. È stato bellissimo lavorarla, mi ricordava “Il Torso del Belvedere” che è nel Vaticano, una superba scultura in marmo di Apollonio di Atene del primo secolo avanti Cristo, che mi ha fortemente influenzato.

Tu sei italiano, coma mai hai scelto la Spagna?

Veramente con mia moglie Giovanna, italianissima di Venezia, eravamo venuti per starci sei mesi, per far nascere il secondo figlio, in quanto il primo era nato a New York in un famoso ospedale, ma la loro freddezza ci aveva creato varie difficoltà, basti pensare che il giorno in cui doveva nascere, il medico stava giocando a golf, lo aveva seguito per sette mesi e quel giorno non c’era. Quindi mai più. Ci avevano parlato di un grande medico di Barcellona, Santiago Dexeus, che poi si è confermato tale durante la nascita del nostro secondo figlio. Nel frattempo, ci siamo innamorati di questa città, conoscevo un po’ la Spagna come attore e poi per un tour con le mie sculture a Barcellona, dove in trenta giorni sono arrivati 17 mila visitatori. Poi a Marbella nel Museo del Grabado, a Santiago de Compostela nel museo del Pueblo Gallego e a Madrid. Durante il giro ho visto che gli spagnoli apprezzavano le mie sculture, quindi pensai che c’era un mercato. Inoltre il clima, il mare. La professione è molto cara, non è come un pittore che può dipingere anche in una soffitta o in un appartamentino. Lo scultore ha bisogno di spazio anche per il trasporto. A New York tutto era più difficile e più caro. Avrei dovuto lavorare dieci volte di più per guadagnare venti volte di meno. Qui la vita era facile e la sua qualità molto buona, ho trovato spazi adeguati a prezzi incredibili e potevo fare buoni affari, quindi rimanemmo per un periodo e adesso sono 13 anni. Ritorneremo a New York perché la galleria madre “Halcjon” che mi rappresenta a Londra da 10 anni, mettendomi su un alto gradino sul piano internazionale inaugura la sua nuova sede a New York, ed io sarò presente come ho fatto sempre quando ha aperto i suoi prestigiosi spazi espositivi.

Che differenza di mercato c’è tra la Spagna e le altre nazioni?

Non vendo niente in Spagna, proprio zero. Il mio mercato è internazionale. Gli spagnoli comprano le mie opere all’estero soprattutto a Londra. In Italia, dove sono stato un anno, la gente compra per dire io ho “un …” ma io non ero ancora famoso e quindi non compravano. Adesso mi comprerebbero, ma in Italia non ho rappresentante. In Spagna hanno paura, mi dispiace dirlo, lo spagnolo non ha coraggio, non gli piace scoprire il talento, vuole che lo facciano gli altri e poi si associa. Tutti gli artisti importanti spagnoli, dico tutti, nel presente e nel passato, sono diventati famosi fuori, nessuno in Spagna. Anche lo stesso Antoni Tápies, diventato famoso alla Fiera Internazionale di Parigi, an- che Miguel Barcelò divento famoso a New York nella galleria di Leo Castelli, per non parlare di Picasso e Dalì. Il caso mio è ancora più atipico perché non sono spagnolo.

Che cos’è che ti ispira di più?

La vita in generale. Non ho nessuna formula. La parte più bella della scultura è l’idea. Ti entra un’allegria, hai i brividi per tutto il corpo e dici: ecco ho trovato! Ci sono artisti, come Picasso, che rispetto moltissimo e forse è stato il più grande, che dicono che l’ispirazione avviene attraverso la traspirazione, ossia attraverso il lavoro. Io non sono così. Prima deve venirmi l’ispirazione e poi mi metto a lavorare. La parte della realizzazione è forse la più noiosa perché l’opera è già creata in testa, però mi rimane di farla vedere al mondo. È un problema, a volte non mi riesce di realizzare quello che ho pensato. Una delle cose più difficili per me è lavorare su incarico. Visualizzo quello che voglio fare e vorrei che mi lasciassero farlo, ma loro vogliono il disegno, il bozzetto, il plastico, lo faccio, ma è un processo rallenta e ammazza la parte creativa.

Chi sono i tuoi clienti?

Società e persone agiate. Su dieci persone importanti e ricche nel mondo, tre hanno sculture mie. A novembre farò una bellissima e importante mostra a Valencia, all’ IVAM (Institut Valenciá d’Art Modern), non posso dire di più sarà una grande sorpresa. Ê un anno splendido, ho già fatto una mostra ad Andorra alla bella galleria Art al Set, ho una presenza costante a Londra. Sarò a Nuova Delhi e Bombay, poi Puerto Rico al Museo Contemporaneo e in una galleria importantissima. Poi terrò una mostra nel Qatar a Doha, a New York e per finire a Los Angeles.

Come nasce l’idea di una mostra?

Dal gallerista o da me stesso. Sono un po’ atipico, molti artisti hanno bisogno di qualcuno che li rappresenti, io mi propongo da solo, parlo con le gallerie, faccio sia la parte creativa sia la parte amministrativa.

Un opera è una autobiografia?

Si, assolutamente. Conosciamo Michelangelo attraverso le sue opere, tanto per paragonarmi come semplice analogia. La gente mi conosce attraverso le mie opere e sono molto attento a cosa lascio. Ovviamente anche io ho fatto i miei sbagli, e sono rappresentati attraverso le mie opere meno riuscite. Però rimangono parte della mia storia così come quelle più belle.

In quale museo vorresti vedere esposta una tua opera e quale, fra quelle già fatte o una che farai?

Ho diverse sculture che sono state commercialmente valide, però non da museo. Ne ho due o tre, che come qualità e obbiettivamente parlando, potrebbero essere accolte in un museo, come la “Mano di Dio” e “Dare e Avere” che, proprio per la sua semplicità, racconta tutto attraverso il semplice gesto di due mani. Oppure l’opera che sto facendo adesso. Come museo preferirei il Metropolitan al MoMA.

E in Italia?

In Italia ho mia madre e mio fratello. Probabilmente riceverò la bellissima notizia che per il 2010 mi offrono il Museo dei Fori Imperiali, ai Mercati Traiani a Roma. Sarà per me una grandissima soddisfazione perché significa arrivare in Italia in maniera trionfale. L’ultima scultura che ho visto e dalla quale mi è venuta l’idea di farlo, è stata quella di Igor Mitorai. Adesso anch’io sono pronto ad affrontare questo passo, perché ho delle sculture molto grandi che troveranno a Roma lo spazio ideale.

Qual’è il tuo carattere?

Se vogliamo parlare di segni, sono un toro con ascendente bilancia, per cui parto a testa bassa con forza e co- raggio, ma il mio ascendente bilancia mi da equilibrio e creatività. Mi appoggio alla mia famiglia, ascolto i giudizi dei miei cari, sono i miei critici più sinceri. Mia moglie, che proviene dai corsi delle Belle Arti con indirizzo direzione dei musei, ha un bellissimo senso dell’equilibrio e dell’estetica, un dono innato, vede le cose molto prima di me e mi aiuta molto. Se mi dice qualcosa che non le piace, per il novanta per cento la ascolto, se si tratta di obiezioni reali e non di gusto. In questo caso decido da solo perché in fondo l’artista sono io. A volte ho ragione a volte no. Mia moglie ha lasciato gli studi all’ultimo anno e si dedica alla famiglia, abbiamo tre figli maschi, Christopher, Nicholas e Anthony. Non ho chiamato i miei primi due figli con il nome di mio padre, perché era ancora vivo. Ma per il terzo, essendo mio padre morto ho pensato che era una bella cosa ricordare suo nonno che non ha conosciuto. Abbiamo anche un a cane, Golden Retrival, maschio.

E se uno dei tuoi figli volesse fare lo sculture che cosa gli consiglieresti?

Qualcosa di artistico faranno sicuramente, uno di loro potrebbe diventare un bravissimo scrittore. Comunque come artista ci vuole immaginazione. Quello dello scultore è un lavoro difficile, quindi non glielo auguro, sono anni di sofferenza. Ho avuto sempre la spada di Damocle di mio padre, se loro di- ventassero scultori sarebbe lo stesso. Però come mio padre che non mi ha mai fermato in quello che volevo fare non li fermerò neanch’io , anche se spero che facciano altro. Nel momento che dici ad un figlio di non fare una cosa lui la fa. Il più grande potrebbe fare anche l’attore perché è bravissimo e ha voglia.

Tu perché hai smesso di fare l’attore?

Come dicono gli spagnoli “no me llenava”, non mi gratificava abbastanza. Il cinema mi piaceva solo per motivi sbagliati, per la fama, per la parte superficiale. Quello che veramente odiavo era che tu non lo controllavi, eri un “muñeco”, un pupazzo, una marionetta nelle mani di altri. Per esempio è già più bello e diretto il teatro, dove hai un rapporto diretto con il pubblico. Il cinema è freddo, distante, magari giri una scena dieci volte per essere ripreso da differente angolazione, può durare anche due giorni, poi viene montata, cambiata, doppiata. Come se Sinatra venisse a cantare e Serrat lo doppiasse. Il pubblico e l’artista non l’accetterebbero. È molto più difficile fare un buon film che una buona scultura. Nel film ci sono una serie di combinazioni di talenti, invece la scultura è solo una cosa tua.

Che hobby hai?

Fare sport, li faccio tutti, bici, tennis, moto, moto in montagna; in acqua faccio di tutto, immersioni con i figli, windsurf. Sono molto attivo e poi leggo, in inglese. Mi piacciono i romanzi epici perché mi diverto e imparo qualcosa. Attualmente sto leggendo “The Kite Runner”.

Un’opera che sogni di realizzare?

Da 12 anni sto realizzando un opera che si chiama “Umanidad”, una scultura che è una enciclopedia tri- dimensionale, con una forma a sfera che rappresenta il mondo (tipo la Colonna Traiana che racconta la storia), attraverso delle placche collocate a spirale e riferite ai 100 momenti più importanti della storia della umanità, non da un punto di vista occidentale od orientale, ma relative all’avanzamento ed alle conquiste, partendo dal Big Bang fino ad oggi. Tengo moltissimo a questa scultura, perché poi sarà fatta da cento opere. Ogni cosa a suo tempo, dieci anni fa avevo una conoscenza dell’arte e adesso ne ho una superiore anche se prima ero più libero, meno condizionato nel creare. Adesso è inclusa in un megaprogetto di 1500 milioni di euro che sto curando per un cliente.

Che differenza c’è tra uno scultore di oggi e uno del passato?

È una bella domanda. Credo che continuiamo a soffrire, magari in modo diverso. Erano dei grandi maestri, molto più grandi di noi, sicuramente tecnica- mente. Si dedicavano completamente a questo fin da bambini, lavorando nelle botteghe, tutto era finalizzato all’arte ed è così che Michelangelo a ventitrè anni realizzò la sua stupenda “Pietà”. Oggi questi artisti non ci sono più. Noi non andiamo nei cimiteri a prendere i cadaveri per studiare l’anatomia, abbiamo i libri. Oggi qualsiasi persona si crede capace di essere artista, ma io ritengo che come un architetto deve sapere come si fanno le fondamenta anche uno scultore debba avere delle solide basi, poi può creare quello che vuole. Lo spiego sempre ai miei figli, ai quali come a tutti i bambini la scuola pesa molto, e gli dico “guardate che la scuola sono la fondamenta. Poi deciderai quello che vuoi, se vuoi fare un piano va bene ma se devi fare un grattacielo devi avere delle basi”.

Se non fossi Lorenzo Quinn chi avresti voluto essere?

Uno dei quattro che ti ho nominato, ma forse più Michelangelo.

La prossima volta che ti farò un’intervista sarà per la mostra di Roma, e per una tua opera esposta al museo Metropolitan?

Èh, eh vediamo… certo sarebbe bello.

Rimaniamo così, ci diamo questi appuntamenti. Sono due in uno, nel senso che nello stesso momento in cui sarai ai Fori Imperiali sarai anche al Metropolitan. Te lo auguro.

Ride e mi dice “bello, mi piacerebbe”.